lunedì 2 febbraio 2015

Lo zen e l'arte del pranzo di Natale

E’ la vigilia di Natale e ti mancano ancora tre regali: quello per tuo fratello, quello per tuo padre e quello per tua cognata. Sono le dieci di mattina e gli orsi polari stanno giocando a tressette nel parcheggio sotto casa. I vetri del tuo appartamento sono ricoperti di un doppio strato di ghiaccio e la tua vita dipende da una caldaia difettosa.
Domani sarà il venticinque dicembre, il giorno più atroce dell’anno. I tuoi nipoti saranno nervosi e sovraeccitati, tua cognata, tuo fratello in crisi d’astinenza da Serie A e tuo padre in piena crisi di panico (in particolare se usare la tovaglia verde o quella rossa). Tu cadrai probabilmente in una depressione suicida verso le sei di sera, che coincidono di solito con la fine del pranzo, poco dopo il triplice ammazzacaffé e prima della lavanda gastrica.
Tranquillo, non farti prendere dalla disperazione. Natale è domani, oggi c’è ancora tempo per lo stress da vigilia, una battaglia navale per trovare parcheggio e la lotta grecoromana al supermercato. Ti tuffi nell’armadio della tua stanza in cerca della tua armatura medioevale, dell’alabarda spaziale e dello scudo atomico, che ti aiuteranno nella tua missione eroica. Trovi solo un berretto di lana, dei guanti bucati e una sciarpa rosa.
OK, ce la possiamo fare, ti dici chiudendo con circospezione la porta dietro le spalle. I nemici sono dappertutto, la prudenza non è mai troppa. Adesso usciamo, compiamo la missione e rientriamo prima che la tempesta cosmica ci colpisca con i suoi raggi gamma, ti rassicuri scendendo le scale. Apri la porta, ti getti fuori e affronti la forza degli elementi scandendo il tuo urlo di battaglia ninja. La tua armatura di riserva ti sta proteggendo a sufficienza per permetterti di arrivare al garage. Proprio in quel momento ti accorgi che ti sei dimenticato le chiavi della macchina. Cazzo! Batti in ritirata strategica e ritorni alla base.
Devi fare un enorme sforzo di volontà per affrontare di nuovo il campo di battaglia. Stai quasi per decidere una ritirata definitiva quando la vicina di casa, l’ottantenne nonna Elisa, esce dalla sua tana seguita da una folata di aria dalla temperatura approssimativa di sessantacinque gradi centigradi. Ti chiede se la puoi accompagnare al centro commerciale. Puoi scegliere tra mettere le dita nella presa della corrente oppure accettare. La decisione è più difficile di quello che sembri, ma finisci per dire di sì prima dello scadere del gong.
Adesso sei seduto in macchina a meno settantadue gradi. Le tue gambe sono a malapena capaci di schiacciare i pedali, le mani sono attaccate al volante con l’Attack, la condensa del tuo fiato genera delle nuvole di vapore così grandi che quasi non vedi il camion della Melegatti che ti sta tagliando la strada. Nonna Elisa inizia a farti una filippica natalizia sulla prudenza al volante – in particolare in condizioni di strada ghiacciata – e una dettagliatissima lista degli incidenti stradali dal 1923 a oggi. Non capisci come possa non avere freddo, ma ti rendi conto che nonna Elisa accumula calore come i cammelli accumulano acqua. Il suo corpo attualmente ha una temperatura di 54 gradi. Il calore stimola la logorrea. Nonna Elisa non tace un secondo in tutto il tragitto fino al centro commerciale.
La Pachamama cosmica ti fa vincere la lotteria e parcheggi il tuo catorcio  su un’aiuola, con buona pace delle stelle di Natale falcidiate dalla causa di forza maggiore. Fai scendere la vecchia assicurandoti che abbia autonomia termica sufficiente e le dai appuntamento un’ora dopo, sperando che si perda tra la folla. La vedi sparire dietro di te, inghiottita da una massa di Spenderoxaptors: una razza intergalattica di trogloditi carrellomuniti che hanno eletto il consumismo a loro ragione di vita. Sono armati di fucili automatici a cui si possono attaccare dei caricatori di carte di credito che permettono l’acquisto a ripetizione. Il modello è una riadattazione di un progetto pilota sviluppato negli annni quaranta dall’ingegner Kalashnikov, e le carte fanno anche bum bum quando si digita il codice segreto.
Ti muovi per i corridoi del supermercato con atteggiamento panottico, non lasci che un solo centimetro quadrato di prodotti sfugga al tuo sguardo. Come Terminator, analizzi oggetti animati e inanimati con velocità e precisione supersoniche. Le tue cornee sono i tuoi Google Glasses. Riesci a scovare l’offerta speciale tre-per-due anche quando un nemico ha nascosto a proposito il cartello. I tuoi occhi laser riescono a decifrare il codice a barre. Ma hai un problema. Devi comprare degli affettati e un ostacolo insormontabile si sta infrapponendo tra te e gli anelati prosciutti. C’è un muro formato da materia organica rivestita da un misto di tessuti sintetici e naturali. Alcuni respirano ancora.
Il numero indicato dalla lavagna luminosa è tredici, quello che hai in mano è ottantanove. In mezzo settantasei signore di mezza età che cucineranno il cenone per ventidue persone ciascuna, per un totale di milleseicentosettantadue bocche da sfamare. Ricorri al piano B. Fai il resto della spesa aspettando che il contatore arrivi a ottantanove, sperando nella morte per inedia di una parte dei militanti nelle fila nemiche. Ti dirigi verso il banco della carne e devi evitare un nanerottolo vestito da puffo che vuole assolutamente assaggiare il sapore magnetico delle ruote del tuo carrello. Il proprietario dell’animale umano è indaffarato a svaligiare il banco del pesce. Allontani l’intruso, indicandogli una piramide di ovetti Kinder che si trova in direzione sud-sud-ovest. Attratto da altre sirene che ne deviano la traiettoria verso nord-est, lasci che si perda nei meandri del supermercato. Non provi rimorso.
Fettine di maiale senza osso, un pezzo di manzo con osso, due petti di pollo, un pezzo di coda e mezzo cappone. Ti manca ancora mezzo chilo di parmigiano, diciotto uova, due chili di farina, olio d’oliva, carote, sedano e noce moscata. Ci aggiungi un panettone Melegatti che è arrivato con il camion che voleva la tua morte, ma non provi più rancore. Costa solo due euro e novantanove, l’offerta promozionale è sufficiente per raggiungere la pace cosmica.
Sessantaquattro. E’ evidente che se vorrai la fetta di mortadella senza pistacchi tagliata grossa e due etti di prosciutto crudo da cottura, dovrai rimanere fino all’ora di chiusura, sperando che le locuste stellari abbiano lasciato almeno qualche briciola nel banco dei salumi (improbabile). Ti aggiri con l’aria di un marito in attesa del parto del suo primogenito e non lasci che neanche un millimetro di unghie sia risparmiato dai tuoi denti aguzzi di Guerriero di Orione.
Poi noti che una delle locuste si è distratta causa discussione troppo concitata sulle nuove aliquote fiscali e ha lasciato inavvertitamente cadere il biglietto con un numero di venti cifre inferiore al tuo. Ti avvicini al tesoro e lo nascondi col piede. Poi fingi di essere claudicante e trascini la gamba irrigidita lontano dalla locusta verbofila. Recuperi il biglietto e prendi le scorte necessarie prima che la vittima scopra di essere stata derubata.
Decolli con il tuo carrello pilotandolo meglio di Ian Solo in Guerre Stellari, con il vantaggio di non dover parlare con un mostro peloso che emette solo suoni incomprensibili. La barriera delle casse è invalicabile. Centinaia di operai intergalattici stanno operando una complessa catena di montaggio composta da cinque fasi consecutive: 1. Caricare la spesa sul rullo, 2. Aspettare che la commessa passi il codice a barra sul lettore ottico, 3. Mettere la spesa nelle borse, 4. Pagare il dovuto, 5. Scomparire al più presto.
Gli operai sono sorvegliati a distanza dai truci Vigilantes del pianeta Protector che assicurano che lo sforzo bellico vada a buon fine. Molti dei proletari sono sfiniti dal lavoro massacrante, hanno occhiaie profonde e i segni della pellagra. Altri devono gestire al tempo stesso neonati nucleari, cellulari vibranti, tablet luminosi, un pacco di buoni sconto e mogli rompiballe. Alcuni soccombono sotto lo sforzo inumano, con la salvezza a portata di mano. Quello di fronte a te stramazza a terra poco dopo aver pagato, con lo scontrino già in mano. Causa decesso, gli vengono detratti duecento punti dalla carta fedeltà Amici delle Stelle. Il cadavere viene efficientemente eliminato dal servizio di pulizia operato da una cooperativa solidare.
Ce l’hai fatta. Emetti un grido di gioia che ti si strozza in gola. Avevi detto a nonna Elisa di farsi trovare pronta all’uscita dopo un’ora e ne sono passate tre. Te la immagini già solidificata in una stalagtite di ghiaccio, oppure sbranata dai lupi mannari che infestano il parcheggio. Stai già per dirigerti verso il cartello “Reception” per effettuare un disperato appello pubblico, che scorgi i capelli grigio-azzurri di nonna Elisa. E’ seduta nel mezzo della bolgia di borse, stelle lucenti, borsette, cappotti, babbi natali, cappelli, ombrelli, renne, passeggini, scatoloni, regali e anche un cane con l’impermeabile. Sembra immune al caos che la circonda e sta bevendo un cappuccino seduta ad un tavolino nel centro esatto del tornado commerciale. Sembra Calindri nella pubblicità del Cynar. Quando ti vede dice Contro il logorìo della vita moderna.
Recuperi la vecchia che – causa temperatura corporea nettamente inferiore alla media – inizia a parlare al rallentatore come il Maestro Yoda. Anche le concordanze tra verbi, sostantivi e aggettivi non sono il massimo, ma pensi che possa sopravvivere fino al ritorno alla sua tana.
Missione compiuta. Nonna Elisa respirava ancora quando l’hai salutata. L’inventario degli acquisti è positivo, nessun ingrediente è dato per disperso. Soprattutto, il tuo cellulare è muto, nessuno ti ha cercato. Ringrazi il karma e il lato oscuro della forza.
Guardi l’orologio, è ora di incominciare. Ma non c’è fretta. Prima ci vuole un po’ di musica. Vai verso lo stereo, scegli un CD e schiacci play. Le note di un pianoforte zittiscono i rumori di clacson che vengono dalla strada. Ti sembra di vedere le dita agili e leggere di Stefano Bollani che danzano sulla tastiera mentre suona Falando de Amor. I tuoi piedi battono il tempo e accompagnano la musica spingendo dolcemente sui pedali. Non sai di esserlo, ma sei quasi felice.
Muovendoti al ritmo sincopato della musica, tiri fuori la carne, tagli la mortadella a strisce sottili, gratti il parmigiano, tagli il pollo e il maiale. Poi, come un alchimista medioevale che abbia scoperto la pietra filosofale, componi una sinfonia di sapore che per i mortali ha il nome di “ripieno”. Ogni tanto ti fermi, assaggi, mediti. Come Michelangelo, osservi la tua opera e apporti leggere correzioni cromatiche – qui un po’ di bianco parmigiano, lì un po’ di rosa mortadella – finché non raggiungi la perfezione. Quando hai finito il ripieno, apri una bottiglia di Raboso e ti servi una modica quantità, che bevi con parsimonia monacale.
Passi alla seconda fase. Recuperi l’asse di legno che avevi sepolto l’anno prima e ti assicuri che sia ancora in buono stato. Un esame al carbonio quattordici rivelerebbe che quel legno ha otto milioni di anni, perché quell’asse è stata di proprietà della bisnonna della tua trisavola, prima di essere stata trasferita in eredità da una generazione all’altra. Tu l’hai ricevuta da tua madre, che ti ha eletto a depositario del segreto di famiglia.
Prendi un grande coltello e raschi i residui di farina che sono rimasti dall’ultima utilizzazione. Ti assicuri di usare la parte giusta della tavola (quell’altra è utilizzata per i biscotti e in genere presenta delle macchie di burro). Con la precisione di un farmacista, misuri cento grammi di farina 00 per ogni uovo che userai. Decidi di iniziare a impastare dieci uova. Sai già che non saranno abbastanza e che ne aggiungerai almeno altre quattro, ma ormai è una tradizione. Ogni anno inizi con dieci uova per renderti conto che c’è ancora ripieno, ed è un peccato lasciarlo lì.
Formi un piccolo vulcano con la farina. All’interno del cratere ci metti le uova, poi condisci il tutto con un goccio di olio extravergine d’oliva. Con le punte delle dita mischi una parte di farina con le uova, facendo attenzione a non creare una breccia nel muro di contenimento. Sarebbe imperdonabile fare uscire una parte dell’albume sulla tavola di legno. Con molta pazienza aspetti che il liquido assorba il solido per dare forma a una nuova creatura gialla dalla consistenza di plastilina.
Con il grosso coltello tagli un pezzo di pasta e lo appiattisci con l’utilizzo di un mattarello della stessa epoca della tavola. A causa di varie vicissitudini, la superficie del mattarello è irregolare e la sfoglia che ne viene prodotta non è perfettamemente omogenea. Un osservatore esterno giudicherebbe tale elemento come un’evidente imperfezione, ma la tua vasta esperienza in materia ti permette di apprezzare l’unicità e l’intrinseca qualità del prodotto del tuo lavoro. Nessuno al mondo potrebbe riprodurlo con esattezza. Stai costruendo uno Stradivari e sei l’unico a saperlo.
Tagli la sfoglia in rettangoli di circa due centimetri per tre. Quando hai tagliato tutto, prendi una forchetta e collochi una nuvoletta di ripieno nel centro di ogni rettangolo. Fai attenzione perché ci sia una proporzione tra la dimensione dei rettangoli (visto che sono tagliati a mano sono tutti leggermente differenti) e la quantità di ripieno. Quando hai finito, ogni rettangolo di pasta ti appare come un piccolo berretto giallo dotato del suo ponpon rosa. Non sai dipingere, non sai scolpire, non sai suonare uno strumento, non sai fare fotografie, sai a mala pena recitare il rosario; la provvidenza non ti ha dotato di alcuna capacità artistica, ma in questo momento ti senti la Carla Fracci della cucina.
E’ venuto il momento. Hai aspettato trecentosessantacinque giorni per fare questo gesto e rivivi ognuno dei giorni passati nell’attesa. Prendi il primo rettangolo. Lo posizioni sul palmo della mano sinistra. Lo pieghi facendo combaciare i lati corti e formando così un rettangolo più piccolo. Il ripieno appare ora come una cisti avvolta tra due lembi di pelle. Schiacci i due angoli in prossimità del ripieno. Prendi l’angolo sinistro tra il pollice e l’indidce delle mano sinistra. Fai lo stesso con l’altro angolo e la mano destra. Con gesto veloce, preciso e sicuro – ma che non riusciresti mai a descrivere a parole – finisci l’opera.

Ora non sembra più una cisti tra due lembi di pelle, ma una piccola testa con il bavero della giacca rialzato. E’ un piccolo extraterrestre in provenienza dalla galassia del piacere. Altri lo chiamerebbero, semplicemente, “tortellino”.