mercoledì 14 gennaio 2015

Amore animale (racconto)

Caro Leonardo,

Ogni ora che passo senza vedere i tuoi occhi e sentire il tuo odore sono altrettante pietre che si accumulano sul mio petto e mi impediscono di respirare. Da quando la mia famiglia mi ha proibito di vederti – anche solo in lontananza – l’orizzonte è svanito, inghiottito dal vuoto. Mi ritrovo a camminare senza scopo. Disegno dei cerchi concentrici in uno spazio rettangolare che non ha uscite, solo sbarre che mi impediscono di venire verso di te. Ma più che dei pezzi di metallo scrostato e arrugginito – mio adorato Leonardo – chi mi sta tenendo prigioniera sono le mie sorelle. Margherita, Stefania e Monica si sono traformate in tre sadiche carceriere e io sono la loro unica detenuta, impotente, su cui sfogare il loro desiderio represso di potere. Non sono cattive le mie sorelle, o almeno non lo erano fino a poco tempo fa. Sono solo miopi. Loro riescono a vedere solo il presente e si scordano immediatamente il passato. Fin da piccole hanno sempre scelto di reagire invece di agire, mangiando quando si dava loro da mangiare e bevendo quando c’era acqua da bere. Loro non usano punti di domanda, ma solo degli enormi punti esclamativi, colorati e sonori. Non hanno dubbi, perché ciò equivarrebbe alla morte. Il loro innato istinto di sopravvivenza le tiene lontane dalle decisioni ragionate e coscienti, cullandole nelle certezze delle verità assolute, delle reazioni comandate, necessarie e obbligate.
Questo lo so – Leonardo, amore mio – perché in fondo anch’io, fino a poco tempo fa, ero come loro. Ubbidivo agli ordini, masticavo lentamente, non facevo rumore. Forse se non ti avessi visto passare quel giorno sarei rimasta la Carolina di una volta, attraversando il tempo come il sasso che giace in uno stagno, lasciando che le stagioni decidano se è tempo di emergere o di rimanere coperto dall’acqua. Ma il destino per me  ha deciso diversamente. Il destino ha avuto la forma della mano di un bambino che ha preso quel sasso e lo ha fatto rimbalzare sulla superficia piatta dello stagno. E quel sasso ha preso a saltare e atterrare sull’acqua, per poi schizzare via di nuovo, in un moto infinito di salti e cadute. Quel sasso, Leonardo, è il mio cuore.
Le mie pupille osservano la polvere che cosparge il pavimento, riuscendo a distinguere un granello da ogni altro, ma i mie occhi vedono la tua lunga chioma bionda. I miei timpani ascoltano le grida del mercato rionale – le urla dei bambini che giocano, quelle di rimprovero dei genitori, l’invito a comprare del venditore di cocomeri e gli annunci del circo – ma le mie orecchie sentono la tua voce profonda e cavernosa. Le mie narici percepiscono odori quotidiani di cibo e di gente, il polline del gelsomino e la fragranza delle agavi, ma il mio naso sente la tua essenza virile e selvaggia. Nulla ha più senso senza di te. Come posso nutrirmi, muovermi e cercare di dare un senso alla mia esistenza, se non posso accerezzare il tuo corpo, addormentarmi contro la tua schiena, baciare i tuoi bellissimi occhi color nocciola? Sarebbe come mangiare una minestra insipida dopo avere assaggiato una goccia del nettare degli dei. Preferisco il digiuno. Preferisco morire.
E’ paradossale in fondo – mio caro Leonardo – che la ragione stessa della mia segregazione, ovvero proteggermi da te, sarà la causa della mia fine. “Lo facciamo per il tuo bene”, “ti farà solo del male”, “è pericoloso”; le mie sorelle non sanno dire altro. Non sono che dei pappagalli dal collo troppo lungo e dalla vista troppo corta. Con loro è impossibile discutere e ragionare. Non perché non siano sufficientemente intelligenti, ma semplicemente perché loro non ti vedono per quello che sei. I loro occhi sono accecati dalla cataratta della paura e dalla nebbia del pregiudizio. Mi viene quasi da ridere se ripenso al passato, a quando anch’io – vedendo i tuoi fratelli – correvo a nascondermi tremando di terrore, e non sollevavo la testa fino a quando erano scomparsi all’orizzonte, camminando fieri e baldanzosi come soldati in file indiana. Quante volte sono scivolata in preda al panico e ho rischiato di cadere, troppo ansimante per emettere anche solo l’ombra di un suono, la parvenza di un sibilo.
Tu mi hai cambiata e per sempre. Non posso tornare ad essere quella di prima, la Carolina un po’ ebete ed assente. Ma mi impediscono di diventare ciò che sento ormai di essere: la tua futura moglie. E in questo limbo senza fine, grigio come il suolo lunare, sterile come un deserto, mi ritrovo ad aspettare la mia fine. Il sasso continua a rimbalzare sullo stagno, ma la forza che lo anima è sempre meno intensa, ogni balzo è più corto del precedente, meno alto del precedente. Tra poco la sua inerzia non gli permetterà più di continuare il suo moto e, dopo un ultimo slancio, si spegnerà per sempre, condannandolo ad affondare nel torbido fondale melmoso. Sarà l’ultimo battito del mio cuore. E quel battito, Leonardo, sarà solo per te. Unico e pieno di lacrime d’amore.

Con tutto il mio cuore

Carolina



Gent.le Sig.na Carolina,

Ho letto con particolare interesse la sua e non le nascondo una certa sorpresa, sia riguardo la forma, che il contenuto. Non mi fraintenda, ho enormemente apprezzato tanto lo slancio emotivo che le immagini evocative che lei ha utilizzato, nonché la passione che anima il suo testo. Fatti i dovuti paragoni, la sua prosa ha rievocato letture della mia infanzia, in particolare “Cime Tempestose” di Emily Brontë. Non nascondo una certa ammirazione per la sua determinazione, la predisposizione al sacrificio e un indubbio coraggio nell’affrontare di petto le consuetudini stabilite e le regole sociali.
Fatto salvo quanto sopra, mi preme sottolineare come tali regole – per quanto in essenza arbitrarie – rappresentino un male necessario per preservare la nostra società dall’implosione in un’anarchia senza fine. I recenti avvenimenti di cui sicuramente Lei avrà sentito parlare – mi riferisco al deprecabile episodio di violenza cui si sono abbandonati vari membri del circo di cui facciamo parte – sono un chiaro esempio dei danni che possa causare l’assenza di un procedimento strutturato per la presa di decisioni e di una chiara gerarchia dei ruoli.
Non vorrei qui apparirle conservatore e pedante. La mia non è una requisitoria sui valori tradizionali e la perdita di identità delle giovani generazioni. La mia posizione è il frutto di una lunga riflessione sulla nostra condizione e il conflitto che dobbiamo gestire tra i nostri istinti e la realtà dei fatti. Alla sua spontaneità ed entusiasmo debordante, mi permetto di anteporre considerazioni di pura pragmatica, al costo si apparirle cinico.
Partiamo dai fatti. Lei, Signorina Carolina, appartiene alla specie Giraffa Camelopardalis, nata in cattività in una regione dell’Italia meridionale e addestrata a un numero circense che è stato introdotto a programma nel Circo Razzoli due mesi fa. Lei è per sua natura erbivora, ungulata artiodactyla, ruminante. Il suo principale sistema di preservazione della specie è la fuga, facilitata da una resistenza non indifferente che le permette di correre ad una velocità  relativamente sostenuta per un periodo prolungato di tempo.
Il sottoscritto, dal canto suo, appartiene alla specie Panthera Leo, nato in cattività presso lo zoo di Civitavecchia e da vari anni Leone Principale dello spettacolo creato e diretto dal Dottor Emilio Razzoli, proprietario dell’omonimo circo. Io sono per mia natura carnivoro, dotato di lunghie unghie retrattili e sono considerato in tutti i libri di zoologia come un “predatore alfa”, ovvero colui che si colloca all'apice della catena alimentare. La principale strategia d’alimentazione della specie a cui appartengo è la caccia, principalmente di ungulati, facilitata da una corsa molto rapida, ancorché limitata a distanze piuttosto brevi.
Avendo Lei dato prova di un’intelligenza superiore a quella associata alla sua specie – se non altro per quanto riguarda il lato emotivo – considero inutile addentrarmi in ulteriori approfondimenti etno-biologici che possano ulteriormente provare la nostra incompatibilità genetica.
Non le nascondo che anch’io, in gioventù, ho pensato di lottare contro le convenzioni sociali e di poter adottare un modo di vita diverso, più consono alla mie capacità intellettuali e alle mie aspirazioni spirituali. All’uopo avevo tentato una dieta vegetariana, integrando le proteine necessarie alla mia nutrizione con tofu che mi veniva fornito dal Maestro Rinzai Gigen, un equilibrista giapponese che all’epoca lavorava nel nostro circo. Oltre che per la difficoltà di produrre e/o acquistare tre quintali di tofu al giorno, l’esperimento fu accantonato per la mia incapacità di abbandonare la carne. Lo ammetto, è una deboleezza di cui non vado fiero. E’ un’onta che non riuscirò mai a lavare dalla mia coscienza. Con il tempo, tuttavia, ho imparato a vivere con i miei limiti e ad accettarli.
Prima di chiudere questa mia risposta, di cui spero Lei possa apprezzare almeno la franchezza, mi permetto di fare un’ultima osservazione. Lei, Signorina Carolina, ha un grande talento. L’ho guardata esibirsi a più riprese e mai in vita mia ho visto un numero circense di giraffe così bello e intenso. Inoltre – e spero che ciò non l’offenda – la trovo estremament attraente. Non le nascondo che il suo collo elegante mi ricorda l’armonia dei ritratti di Modigliani. Se fossi più giovane e più forte, avrei forse accetato la grande sfida che Lei mi propone, ma le considerazioni di cui sopra hanno una forza logica tale che devo reprimere il mio moto ideale e accettare i limiti imposti da Madre Natura. Non mi resta che augurarle di riprendersi presto e di incoraggiarla a continuare la sua promettente carriera artistica. La seguirò da spettatore privilegiato e da profondo conoscitore della realtà circense.
Rimango a sua disposizione per ulteriori chiarimenti, nonché – se Lei dovesse considerarlo utile – consigli pratici su come impostare la sua carriera futura, sia presso il circo di cui sono membro, che presso un altro istituto.
Augurandole pronta guarigione, Le porgo

Distinti saluti

Leonardo Leonardi
Capo Leone

Circo Razzoli