Caro Leonardo,
Ogni ora che passo senza vedere i tuoi occhi e sentire il tuo odore sono
altrettante pietre che si accumulano sul mio petto e mi impediscono di
respirare. Da quando la mia famiglia mi ha proibito di vederti – anche solo in lontananza
– l’orizzonte è svanito, inghiottito dal vuoto. Mi ritrovo a camminare senza
scopo. Disegno dei cerchi concentrici in uno spazio rettangolare che non ha
uscite, solo sbarre che mi impediscono di venire verso di te. Ma più che dei
pezzi di metallo scrostato e arrugginito – mio adorato Leonardo – chi mi sta
tenendo prigioniera sono le mie sorelle. Margherita, Stefania e Monica si sono
traformate in tre sadiche carceriere e io sono la loro unica detenuta, impotente,
su cui sfogare il loro desiderio represso di potere. Non sono cattive le mie
sorelle, o almeno non lo erano fino a poco tempo fa. Sono solo miopi. Loro
riescono a vedere solo il presente e si scordano immediatamente il passato. Fin
da piccole hanno sempre scelto di reagire invece di agire, mangiando quando si
dava loro da mangiare e bevendo quando c’era acqua da bere. Loro non usano punti
di domanda, ma solo degli enormi punti esclamativi, colorati e sonori. Non
hanno dubbi, perché ciò equivarrebbe alla morte. Il loro innato istinto di
sopravvivenza le tiene lontane dalle decisioni ragionate e coscienti,
cullandole nelle certezze delle verità assolute, delle reazioni comandate,
necessarie e obbligate.
Questo lo so – Leonardo, amore mio – perché in fondo anch’io, fino a poco
tempo fa, ero come loro. Ubbidivo agli ordini, masticavo lentamente, non facevo
rumore. Forse se non ti avessi visto passare quel giorno sarei rimasta la
Carolina di una volta, attraversando il tempo come il sasso che giace in uno
stagno, lasciando che le stagioni decidano se è tempo di emergere o di rimanere
coperto dall’acqua. Ma il destino per me ha deciso diversamente. Il destino ha avuto la
forma della mano di un bambino che ha preso quel sasso e lo ha fatto rimbalzare
sulla superficia piatta dello stagno. E quel sasso ha preso a saltare e
atterrare sull’acqua, per poi schizzare via di nuovo, in un moto infinito di
salti e cadute. Quel sasso, Leonardo, è il mio cuore.
Le mie pupille osservano la polvere che cosparge il pavimento, riuscendo a
distinguere un granello da ogni altro, ma i mie occhi vedono la tua lunga
chioma bionda. I miei timpani ascoltano le grida del mercato rionale – le urla
dei bambini che giocano, quelle di rimprovero dei genitori, l’invito a comprare
del venditore di cocomeri e gli annunci del circo – ma le mie orecchie sentono
la tua voce profonda e cavernosa. Le mie narici percepiscono odori quotidiani
di cibo e di gente, il polline del gelsomino e la fragranza delle agavi, ma il
mio naso sente la tua essenza virile e selvaggia. Nulla ha più senso senza di
te. Come posso nutrirmi, muovermi e cercare di dare un senso alla mia esistenza,
se non posso accerezzare il tuo corpo, addormentarmi contro la tua schiena,
baciare i tuoi bellissimi occhi color nocciola? Sarebbe come mangiare una
minestra insipida dopo avere assaggiato una goccia del nettare degli dei.
Preferisco il digiuno. Preferisco morire.
E’ paradossale in fondo – mio caro Leonardo – che la ragione stessa della
mia segregazione, ovvero proteggermi da te, sarà la causa della mia fine. “Lo
facciamo per il tuo bene”, “ti farà solo del male”, “è pericoloso”; le mie
sorelle non sanno dire altro. Non sono che dei pappagalli dal collo troppo
lungo e dalla vista troppo corta. Con loro è impossibile discutere e ragionare.
Non perché non siano sufficientemente intelligenti, ma semplicemente perché loro
non ti vedono per quello che sei. I loro occhi sono accecati dalla cataratta
della paura e dalla nebbia del pregiudizio. Mi viene quasi da ridere se ripenso
al passato, a quando anch’io – vedendo i tuoi fratelli – correvo a nascondermi
tremando di terrore, e non sollevavo la testa fino a quando erano scomparsi
all’orizzonte, camminando fieri e baldanzosi come soldati in file indiana.
Quante volte sono scivolata in preda al panico e ho rischiato di cadere, troppo
ansimante per emettere anche solo l’ombra di un suono, la parvenza di un
sibilo.
Tu mi hai cambiata e per sempre. Non posso tornare ad essere quella di
prima, la Carolina un po’ ebete ed assente. Ma mi impediscono di diventare ciò
che sento ormai di essere: la tua futura moglie. E in questo limbo senza fine,
grigio come il suolo lunare, sterile come un deserto, mi ritrovo ad aspettare
la mia fine. Il sasso continua a rimbalzare sullo stagno, ma la forza che lo
anima è sempre meno intensa, ogni balzo è più corto del precedente, meno alto
del precedente. Tra poco la sua inerzia non gli permetterà più di continuare il
suo moto e, dopo un ultimo slancio, si spegnerà per sempre, condannandolo ad
affondare nel torbido fondale melmoso. Sarà l’ultimo battito del mio cuore. E
quel battito, Leonardo, sarà solo per te. Unico e pieno di lacrime d’amore.
Con tutto il mio cuore
Carolina
Gent.le Sig.na Carolina,
Ho letto con particolare interesse la sua e non le nascondo una certa
sorpresa, sia riguardo la forma, che il contenuto. Non mi fraintenda, ho
enormemente apprezzato tanto lo slancio emotivo che le immagini evocative che
lei ha utilizzato, nonché la passione che anima il suo testo. Fatti i dovuti
paragoni, la sua prosa ha rievocato letture della mia infanzia, in particolare “Cime
Tempestose” di Emily Brontë. Non nascondo una certa ammirazione per la sua
determinazione, la predisposizione al sacrificio e un indubbio coraggio nell’affrontare
di petto le consuetudini stabilite e le regole sociali.
Fatto salvo quanto sopra, mi preme sottolineare come tali regole – per
quanto in essenza arbitrarie – rappresentino un male necessario per preservare
la nostra società dall’implosione in un’anarchia senza fine. I recenti
avvenimenti di cui sicuramente Lei avrà sentito parlare – mi riferisco al
deprecabile episodio di violenza cui si sono abbandonati vari membri del circo
di cui facciamo parte – sono un chiaro esempio dei danni che possa causare
l’assenza di un procedimento strutturato per la presa di decisioni e di una
chiara gerarchia dei ruoli.
Non vorrei qui apparirle conservatore e pedante. La mia non è una
requisitoria sui valori tradizionali e la perdita di identità delle giovani
generazioni. La mia posizione è il frutto di una lunga riflessione sulla nostra
condizione e il conflitto che dobbiamo gestire tra i nostri istinti e la realtà
dei fatti. Alla sua spontaneità ed entusiasmo debordante, mi permetto di
anteporre considerazioni di pura pragmatica, al costo si apparirle cinico.
Partiamo dai fatti. Lei, Signorina Carolina, appartiene alla specie Giraffa Camelopardalis, nata in cattività in una regione dell’Italia
meridionale e addestrata a un numero circense che è stato introdotto a
programma nel Circo Razzoli due mesi fa. Lei è per sua natura erbivora,
ungulata artiodactyla, ruminante. Il suo principale sistema di preservazione
della specie è la fuga, facilitata da una resistenza non indifferente che le
permette di correre ad una velocità
relativamente sostenuta per un periodo prolungato di tempo.
Il sottoscritto, dal canto suo, appartiene alla specie Panthera Leo, nato in cattività presso lo zoo di Civitavecchia e da
vari anni Leone Principale dello spettacolo creato e diretto dal Dottor Emilio
Razzoli, proprietario dell’omonimo circo. Io sono per mia natura carnivoro,
dotato di lunghie unghie retrattili e sono considerato in tutti i libri di
zoologia come un “predatore alfa”, ovvero colui che si colloca all'apice
della catena alimentare. La principale strategia d’alimentazione della specie a cui appartengo è
la caccia, principalmente di ungulati, facilitata da una corsa molto rapida,
ancorché limitata a distanze piuttosto brevi.
Avendo Lei dato prova di un’intelligenza superiore a quella associata alla
sua specie – se non altro per quanto riguarda il lato emotivo – considero
inutile addentrarmi in ulteriori approfondimenti etno-biologici che possano
ulteriormente provare la nostra incompatibilità genetica.
Non le nascondo che anch’io, in gioventù, ho pensato di lottare contro le convenzioni
sociali e di poter adottare un modo di vita diverso, più consono alla mie
capacità intellettuali e alle mie aspirazioni spirituali. All’uopo avevo
tentato una dieta vegetariana, integrando le proteine necessarie alla mia
nutrizione con tofu che mi veniva
fornito dal Maestro Rinzai Gigen, un equilibrista giapponese che all’epoca
lavorava nel nostro circo. Oltre che per la difficoltà di produrre e/o
acquistare tre quintali di tofu al
giorno, l’esperimento fu accantonato per la mia incapacità di abbandonare la
carne. Lo ammetto, è una deboleezza di cui non vado fiero. E’ un’onta che non
riuscirò mai a lavare dalla mia coscienza. Con il tempo, tuttavia, ho imparato
a vivere con i miei limiti e ad accettarli.
Prima di chiudere questa mia risposta, di cui spero Lei possa apprezzare
almeno la franchezza, mi permetto di fare un’ultima osservazione. Lei,
Signorina Carolina, ha un grande talento. L’ho guardata esibirsi a più riprese
e mai in vita mia ho visto un numero circense di giraffe così bello e intenso.
Inoltre – e spero che ciò non l’offenda – la trovo estremament attraente. Non
le nascondo che il suo collo elegante mi ricorda l’armonia dei ritratti di Modigliani.
Se fossi più giovane e più forte, avrei forse accetato la grande sfida che Lei
mi propone, ma le considerazioni di cui sopra hanno una forza logica tale che
devo reprimere il mio moto ideale e accettare i limiti imposti da Madre Natura.
Non mi resta che augurarle di riprendersi presto e di incoraggiarla a
continuare la sua promettente carriera artistica. La seguirò da spettatore
privilegiato e da profondo conoscitore della realtà circense.
Rimango a sua disposizione per ulteriori chiarimenti, nonché – se Lei
dovesse considerarlo utile – consigli pratici su come impostare la sua carriera
futura, sia presso il circo di cui sono membro, che presso un altro istituto.
Augurandole pronta guarigione, Le porgo
Distinti saluti
Leonardo Leonardi
Capo Leone
Circo Razzoli
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